Questionario a  Peppe di Tocco

 

  1. Sei partito volontario per il servizio di leva per la guerra? E quando?

Sono partito per la leva nel gennaio 1942. Avevo 19 anni. Da Brattirò partimmo, quell’anno, circa in trenta; molti non sono tornati.

 

  1. Dove sei stato inizialmente dislocato e in quale battaglione? Con quale grado?

Nel 17° Reggimento Artiglieria Someggiata – Divisione Firenze. Soldato semplice.

 

  1. Ricordi qualche particolare della partenza?

Mio padre mi accompagnò fino al Distretto militare di Catanzaro. La mia era una famiglia di contadini, discretamente benestante, avevamo 11 ettari e ½ di terreno in proprietà.

 

  1. Come si viveva al fronte?

Partimmo a luglio per Rodi. Fui addetto alle postazioni antiaeree; i cannoni erano antiquati, quelli presi agli austriaci nella prima guerra. Eravamo spesso esposti ai bombardamenti angloamericani, ma ci rifugiavamo dentro le caverne dei monti e quindi non c’erano molti danni. Ma si moriva di malaria: nel rancio ci davano due pillole di chinino, gialle e amare come il veleno. Qualcuno fingeva di inghiottirle e poi se le buttava dietro la spalle, allora gli infermieri le raccoglievano da terra e ce le facevano ingoiare. Nell’esercito c’erano i soldati veri e propri, quelli dell’E.I., trattati malissimo e i fascisti, inquadrati nelle loro formazioni, ben trattati e, quindi, da noi detestati.

 

  1. Sei rimasto sempre sullo stesso scacchiere operativo o sei stato spostato?

Sono rimasto sempre a Rodi.

 

  1. Qual’era il morale della truppa? Eravate partiti con entusiasmo guerresco, vittime della martellante propaganda politica, oppure perché vi ci hanno mandato?

Morale a pezzi, in genere. Eravamo lì perché mandati.

 

  1. Qual’era il rapporto con le popolazioni?

Il rapporto con i Greci era buono, ma i fascisti erano malvisti.

 

  1. E il rapporto con i Tedeschi?

Noi eravamo in 45.000, i Tedeschi 9.000: i rapporti erano, nell’insieme, buoni.

 

  1. Ricordi qualche episodio interessante di questo periodo?

Non ne ricordo di particolari, la posta funzionava regolarmente.

 

  1. Quando siete stati fatti prigionieri dai Tedeschi? Dove vi hanno portato?

Dopo l’otto settembre, i Tedeschi ci portarono in zone boscose per tagliare alberi per le difese antiaeree. Nel gennaio del 1944 fummo trasportati a Lipsia. Sapemmo in seguito che i nostri Comandanti erano stati fucilati come traditori, anche se si erano arresi. Rodi fu abbandonata nel ’44.

 

  1. Come fu il periodo della prigionia?

Fu un periodo nero: bastonate per merenda, vitto insufficiente (molti morivano di fame, io pesavo 48 chili), umiliazioni di ogni genere. Le ragazze tedesche ci sputavano addosso, dicendoci scheiss (“merda!”). Un ufficiale con forti tendenze omosessuali si divertiva a provocarci in mille modi. Chi provava a ribellarsi, veniva ucciso. Durante i bombardamenti, i Tedeschi ci mettevano dentro una fabbrica di munizioni. Per miracolo salvammo la pelle: solo l’angolo dove eravamo noi non saltò in aria. Una volta, a causa dell’esplosione di una bomba, fui tutto ricoperto dalla terra tranne la testa, che si trovava alla distanza di mezzo metro da un grosso macigno. Non era venuto il nostro momento! Le più accanite erano le SS italiane, che si divertivano a bruciare con la benzina le baracche di legno : molti miei commilitoni ci rimisero così la vita. In qualche caso accadde che quelli che uscivano allo scoperto venissero fucilati dalle mitragliatrici. Nella Pasqua del ’45 io all’improvviso svenni, per la fame, e mi ritrovai con un sacco di carta vicino, usato come bara, e allora io mi alzai subito per far vedere che ero vivo.

 

  1. Da chi foste liberati?

Dai Russi, nell’aprile del ’45. Ci trattarono con molta umanità, curandoci e dandoci vitto abbondante. Noi, come i prigionieri russi, non eravamo tutelati da nessuno. Rimanemmo con i Russi fino a novembre del ’45, perché non c’erano mezzi di comunicazione per rientrare. I miei non ebbero notizie per due anni. In questo periodo, al ritorno apprendemmo degli orrori dei lager, dove gli Ebrei venivano trucidati col gas e i cadaveri diventavano rigidi come stoccafissi. Noi prigionieri, senza saperlo, avevamo usato il sapone ricavato dai loro cadaveri: un sapone maleodorante e orrendo! Arrivammo col treno-ospedale a Merano, quindi a Pozzuoli, passando da Roma, venne a trovarsi la regina Maria Josè con il piccolo Vittorio Emanuele: mi chiese notizie relative alla mia Divisione (quella detta della Regina) e alle nostre vicende, offrendoci poi una foto del figlioletto. Un mio commilitone di Brattirò, partito volontario come fascista, le rispose alla domanda “se volesse una foto sua e del figlio” che se ne strafotteva di tutti e due. Io l’ho poi rimproverato aspramente per la maleducazione dimostrata verso una donna, dopo che Maria josè era scesa dallo scompartimento.

 

  1. Quali furono le tue impressioni al ritorno nel tuo paese?

Finalmente ero tornato vivo fra i miei, a differenza di altri rimasti per sempre in terra lontane. Rividi per primo mio padre, che arrivò col marito di mia sorella fino a Napoli: non mi sembrava vero. Comunque la vita ricominciava con i suoi ritmi. Mi sentivo come rinato!

 

  1. Che cosa pensi della guerra?

La guerra è morte, è distruzione della gioventù, in una parola, per dirla con quel termine tedesco è SCHEISS, “MERDA”.

 

Giuseppe Pontoriero (Peppe di Tocco) - 1943

 

Giuseppe Pontoriero (Peppe di Tocco) - 2008

 

E - MAI

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